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italia.it e legge Stanca: analisi dell’intervento in parlamento del ministro Vannino Chiti.

Questo intervento è stato pubblicato il 10 marzo 2007 sul blog Scandaloitaliano con il titolo ^italia.it e legge Stanca, analisi dell’intervento in parlamento^.

Cerco di spiegare per i lettori di Scandaloitaliano alcune delle espressioni usate dal Ministro per i Rapporti col Parlamento, Vannino Chiti, persona degnissima, nel corso del question time del 7 marzo scorso, in risposta all’interrogazione parlamentare a firma degli onorevoli Campa e Palmieri a proposito della inaccessibilità del portale italia.it.

Afferma il Ministro:

Per quanto concerne il portale, in particolare per la previsione del rispetto dei requisiti di accessibilità di cui alla legge n. 4 del 2004, faccio presente che, nell’ambito delle convenzioni stipulate per la realizzazione del portale del turismo italiano, non è necessario che tale previsione sia espressamente e formalmente contenuta perché essa è già contemplata dalla legge del 2004. Tale legge, avendo natura di fonte primaria, non è derogabile da alcun strumento convenzionale. Il dipartimento per l’innovazione e le tecnologie ha informato che il portale è stato sviluppato secondo le direttive del protocollo internazionalmente denominato W3C, al fine di perseguire i massimi livelli di accessibilità che la tecnologia in questo momento consente.

Tradotto:

  1. negli accordi (dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri verso Innovazione italia S.p.A.) e nei contratti sottoscritti (da Innovazione italia S.p.A. con i fornitori) per la realizzazione del portale, non è stata inserita alcuna previsione relativa al rispetto della legge 4 gennaio 2004, n. 4, per l’accessibilità informatica, nota come legge Stanca;

  2. questa previsione non era necessaria perché, dice il Ministro, la legge opera indipendentemente dal suo recepimento nei contratti o comunque negli accordi intercorsi tra le parti;né le parti - Governo compreso - avrebbero potuto derogare alla legge;

  3. il portale è stato comunque sviluppato secondo gli standard internazionali.

Anche tradotto, il pensiero del Ministro Chiti presenta imprecisioni e punti poco chiari. Vediamoli:

punto 1

la legge Stanca dispone (all’articolo 4) che i soggetti obbligati (v. articolo 3) “non possono stipulare, a pena di nullità, contratti per la realizzazione e la modifica di siti INTERNET quando non è previsto che essi rispettino i requisiti di accessibilità stabiliti dal decreto di cui all’articolo 11″. Esiste una sola possibilità che giustifichi il mancato inserimento della previsione che l’articolo 4 della legge Stanca afferma come obbligatoria: ossia - nella più benevola delle ipotesi - che il contratto o l’accordo siano stati firmati dopo l’emanazione della legge ma prima del Decreto Ministeriale 8 luglio 2005 contenente i “Requisiti tecnici e i diversi livelli per l’accessibilità agli strumenti informatici”. Dico nella più benevola, perché si potrebbe anche affermare che a partire dal 17 gennaio 2004, giorno della pubblicazione della legge 4/2004 nella Gazzetta Ufficiale, i contratti dovessero comunque prevedere il rispetto dei requisiti;

punto 2

purtroppo per il Ministro (o, meglio, per chi gli ha scritto la risposta), non è vero che questa previsione non era obbligatorio venisse inserita nel contratto, perché la legge Stanca non dice che i contratti che non prevedano l’obbligo del rispetto dei requisiti sono automaticamente integrati ma che i contratti sono sanzionati con la nullità;

punto 3

per come è scritta la legge Stanca, non ha nessun senso affermare “che il portale è stato sviluppato secondo le direttive del protocollo internazionalmente denominato W3C” (che poi sarebbero le WCAG, ossia le Linee guida per l’accessibilità ai contenuti del Web), perché delle linee guida alla legge Stanca - detto in soldoni - importa poco o niente. E nemmeno la legge Stanca contiene una norma che dice che i siti delle pubbliche amministrazioni devono essere accessibili (quello lo dice il Codice dell’amministrazione Digitale all’articolo 53, ma senza sanzioni). Molto più prosaicamente la legge Stanca dice: nei contratti che hanno per oggetto la realizzazione di siti internet deve essere previsto l’obbligo per il fornitore di realizzare il sito secondo i ventidue requisiti elencati nel Decreto Ministeriale 8 luglio 2005. Se così non è, nel senso che manca questa previsione, il contratto è nullo - ossia come se non fosse mai stato firmato - accessibile o meno che sia il sito. E siccome siamo in presenza di una nullità disposta per legge, non esiste possibilità di una sua, per così dire, sanatoria per accordo tra le parti. Con tutto quanto ne consegue: ossia che il committente si riprende i soldi e riconsegna il sito.

Ora: sarà facile per Innovazione italia S.p.A. affermare che all’epoca delle convenzioni sottoscritte con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie, i ventidue requisiti non erano ancora stati rilasciati e, quindi, che la legge è formalmente rispettata. A parte che ci piacerebbe leggere queste convenzioni - previste dall’articolo 12 della legge 14 maggio 2005, n. 80 -, la domanda sorge spontanea: se all’epoca era già stata emanata, con il voto unanime delle Camere, la legge Stanca, come è possibile che il Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie non abbia ritenuto opportuno inserire la previsione del rispetto degli emanandi requisiti negli accordi per la realizzazione del più grande portale mai realizzato in italia? E ancora, se - come si legge nella nota di IBM indirizzata al quotidiano La Stampa - l’aggiudicazione è avvenuta nel luglio 2005, come poteva Innovazione italia S.p.A., società a capitale pubblico, ignorare il contenuto dei requisiti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 183 dell’8 agosto 2005, ma di cui ovviamente il Dipartimento era ampiamente al corrente?

Tutto ciò, ovviamente, per l’ipotesi in cui al legge Stanca si applichi solo a partire dall’8 agosto 2005, perché in caso contrario, per ammissione dell’onorevole Chiti, mancando la clausola relativa al rispetto dei requisiti di accessibilità il contratto o la convenzione (insomma, basta che il Ministro chiarisca cosa è stato firmato e lo renda pubblico) sono nulli.

Circostanza, immagino, spiacevole per tutti ma non per i contribuenti, che vedono il sito restituito ai chi lo ha fatto e le imprese restituire i soldi che hanno ricevuto.Inizio articolo

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