Jakob Nielsen - Hoa Loranger, Web Usability 2.0. L’usabilità che conta
Nell’ottobre del 2006 Apogeo ha pubblicato il terzo volume di Jakob Nielsen sull’usabilità: dopo Web Usability (2001) e Homepage Usability (scritto con Marie Tahir, 2002), ecco Web Usability 2.0. L’usabilità che conta, scritto con Hoa Loranger (traduzione di Walter Vannini, pp. 406, € 45).
L’importanza di Nielsen
Se Homepage Usability ha avuto, almeno da noi, una scarsa risonanza, Web Usability ha mutato il modo di concepire il web, a livello mondiale. Non vi è alcun dubbio che Nielsen abbia fornito dati e spunti tali da modificare radicalmente il modo di costruire siti dal 2001 in poi. Nielsen, adattando l’ergonomia al web e avvalendosi di test di usabilità, è riuscito a mostrare, con una serie di suggerimenti (usability guidelines), in un’epoca nella quale la comunicazione sul web sembrava ovvia e facile, quali erano le difficoltà dei navigatori e come potevano essere evitate adottando un approccio comunicativo non autoreferenziale.
L'autore ha continuato a condurre test di usabilità di siti, e ricerche relative ai test. Questa attività si è tradotta in numerose pubblicazioni (celebri le newsletter Alertbox), che costituiscono la base documentale dell’ultimo libro che, come i precedenti, è sostanzialmente una perorazione dell’importanza e dell’utilità dell’usabilità come strumento di messa a punto del sito, cioè come supporto ai progettisti. Curiosamente, però, questo libro serve (credo) poco a coloro che si occupano di usabilità (l'autore espone il suo metodo nel capitolo 1 Nulla da nascondere), mentre è piuttosto utile a coloro che si occupano di progettazione dei siti, perché Nielsen sa meglio (credo) di tutti come si comporta il navigatore.
Dati documentati
Sulla base di questa conoscenza, Nielsen può perentoriamente affermare, per esempio, che:
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il 90% dei navigatori parte da un motore di ricerca quando cerca un’informazione e non sa con certezza dove trovarla;
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il 37% dei navigatori fatica a raggiungere la pagina desiderata;
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un terzo dei navigatori non riesce a ottenere il suo scopo durante la prima visita a un sito, ma ci riesce nelle visite successive;
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l’importanza della home page è massima alla prima visita, poi decresce rapidamente;
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le pagine interne sono il 60% delle pagine visitate per prime;
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la permanenza di un navigatore su una pagina va dai 25 ai 60 secondi (in relazione al tipo di pagina e all’esperienza del navigatore);
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il navigatore compie lo scorrimento verticale solo della metà delle pagine che lo richiedono, e raramente scorre una pagina per più di 2,3 schermate;
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i link che non cambiano colore dopo essere stati visitati creano problemi al navigatore;
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l’apertura di nuove finestre o di pop up dà fastidio al navigatore;
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la maggioranza degli schermi ha una risoluzione di 1024x768;
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i navigatori desiderano adattare la visualizzazione del sito alle caratteristiche proprie e del proprio dispositivo.
Il confine dell’usabilità
Il comportamento del navigatore è, per Nielsen, l’effetto dei problemi di usabilità dei siti. Ottenere comportamenti più efficaci e prestazioni migliori significa dunque, per Nielsen, migliorare l’usabilità del sito. Mai come in questa occasione, Nielsen è chiaro su come affronti e intenda risolvere il problema dell’efficacia di un sito.
Dal punto di vista di chi gestisce il sito, Nielsen afferma:
Nelle nostre consulenze classifichiamo i problemi di usabilità per livello di criticità: alto, medio, basso […]. “Un problema è ad alta criticità quando causa costi inaccettabili agli utenti e/o affari perduti, sia rendendo impossibile per gli utenti l’uso del sito, sia causandone direttamente l’abbandono. Un problema è a criticità media se causa confusione, frustrazione e un certo numero di affari perduti, ma in misura minore rispetto ai problemi ad alta criticità. I problemi a bassa criticità sono di tipo cosmetico, sia in senso estetico che operativo: infastidiscono ma nessuno di loro, preso individualmente, può danneggiare economicamente il sito. Naturalmente, l’effetto combinato di molti problemi a bassa criticità può a tal punto degradare la qualità percepita del sito da convincere gli utenti ad abbandonarlo (124).
Dal punto di vista del navigatore, Nielsen afferma che “la criticità dipende da tre fattori”: la frequenza (la criticità è alta se riguarda molti navigatori); l’impatto (la criticità è alta se determina un problema grave, come la perdita di ore di lavoro); la persistenza (la criticità è alta se il problema si presenta regolarmente e se il navigatore non riesce a imparare a evitarli).
È del tutto evidente che per Nielsen la gravità e forse anche addirittura l’esistenza di un problema sono percepiti nella misura in cui determinano qualcosa di negativo per il navigatore e conseguentemente per il sito. Paradossalmente, se un errore non determina un problema di usabilità, potrebbe anche non venire notato (nei test di usabilità o nell’esperienza reale di tutti i navigatori? dico io) o non essere considerato un errore. Non so se questa visione delle cose sia dovuta al fatto che l'autore si riferisca all’usabilità, che misura per l’appunto la qualità d’uso degli artefatti, ma certo la concezione di far coincidere la qualità progettuale di un sito con il test di usabilità non mi pare che possa risolvere tutti i problemi dei progettisti, problemi di cui a Nielsen sembra interessare qualcosa solo in quanto argomento per i test di usabilità.
Tra usabilità e progettazione
Consideriamo un caso solo, ma molto importante, dei limiti dei suggerimenti che l'autore offre ai progettisti. Nielsen ritiene (giustamente) che il problema principale dei navigatori (37%, p. 130) è trovare la pagina di loro interesse. Per trovarla – egli afferma, ma è ovvio che sia così – i navigatori si affidano al motore di ricerca relativo alle pagine del sito e alla logica strutturale del sito (o architettura delle informazioni, AI). Ad ognuna di queste due risorse, Nielsen dedica un capitolo: il quinto alla ricerca, il sesto, che è quello che mi interessa maggiormente, a Navigazione e Architetture dell’informazione.
L’idea centrale del capitolo in questione è la seguente:
I siti che meglio riescono a indirizzare gli utenti alla loro meta sono quelli che meglio si adeguano alle aspettative. […] Chi impegna sufficienti risorse per definire una AI adeguata si assicura che i propri clienti trovino le risposte che vogliono proprio là dove le cercano (p. 173).
A proposito di come si possa realizzare questa idea, del tutto condivisibile anche se formulata in modo che si presta a interpretazioni diverse, Nielsen propone i seguenti argomenti:
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classificare le informazioni secondo una logica comprensibile dal navigatore, non secondo una logica autoreferenziale. Ciò si può ottenere solo conoscendo gli utenti (p. 173);
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la logica deve essere coerente (p. 178), cioè:
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deve far capire al navigatore dov’è e dove può andare;
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deve garantire la stabilità degli elementi di orientamento, soprattutto tra i sottositi;
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non ci devono essere ridondanze;
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ci vuole chiarezza nella definizione di link, etichette, pulsanti;
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i roll over devono avere pochi elementi (per non occupare troppo spazio nascondendo le informazioni sottostanti) e disposti al massimo su due livelli gerarchici.
Su come si possano ottenere queste caratteristiche, l'autore non ha molto da dire:
Come si organizza un sito? Noi vi raccomandiamo di replicare fedelmente gli schemi mentali e operativi dei vostri utenti, ma sappiate che non ci sono modi semplici per farlo. Ciò che gli utenti cercano varia da sito a sito, e quindi la AI ideale di un sito dipende dagli obiettivi caratteristici di quel sito e dei suoi utenti. Sulla creazione di AI e di schemi di navigazione usabili si sono riempiti interi volumi. Qui menzioniamo il problema solamente per sottolinearne l’importanza. Ricordate che, quando gli utenti del vostro sito riescono a fare quello che sono venuti per fare, il piacere è tutto vostro (p. 174).
Non mi pare che Nielsen sia mai stato così esplicito nel rinunciare a dare indicazioni di progettualità. Il suo discorso è dunque il seguente: siccome i navigatori manifestano dei problemi, fate le cose affinché questi problemi spariscano. Questo ragionamento è legittimo e anzi direi anche intellettualmente onesto, proprio perché Nielsen si ferma ai confini dell’usabilità, e non va oltre, cioè non entra nel dominio della progettazione, alla quale offre semmai suggerimenti molto utili. Questi suggerimenti, però, non sono sempre validi in modo assoluto per un progetto, cioè non possono essere presi sempre alla lettera, come il tono suadente potrebbe far pensare. Infatti, Nielsen non maneggia le complessità della progettazione in modo del tutto sicuro e coerente. Alcuni esempi:
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per classificare le informazioni non basta conoscere gli utenti, bisogna anche saper classificare, e che i siti (almeno quelli italiani) dimostrino di saperlo fare è assai dubbio, indipendentemente dalla conoscenza degli utenti;
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come tanti altri ‘usabilisti’, Nielsen presuppone che un sito abbia tutte le informazioni che il navigatore cerca, e dunque non dice nulla su come si fa ad avvertire il navigatore che cerca un’informazione che non c’è che quella informazione non c’è;
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i link non sono tutti uguali e vanno gestiti diversamente da persone diverse:
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i link pertinenziali, cioè di collegamento tra pagine correlate, riguardano gli autori;
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la definizione dei pulsanti e delle etichette riguarda il progettista;
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i roll over sono una soluzione tecnologica per rappresentare i contenuti di un sito, ma il loro uso non implica che la rappresentazione dei contenuti del sito sia corretta.
La progettazione oltre l’usabilità
Resta dunque aperta la questione su come si possa organizzare un sito e quali siano le competenze necessarie, in modo che le indicazioni di Nielsen siano seguite e contestualizzate per una navigazione efficace. In particolare, mi pare che le questioni rilevanti che l'autore non affronta – o, per meglio dire, affronta in modo occasionale, non sistematico – siano le seguenti:
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il rapporto tra i vari saperi che concorrono alla costruzione di un sito (codice, grafica, logica, testi ecc.);
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la differenza che passa tra struttura del sito e navigazione;
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l’evoluzione delle tecnologie di programmazione, come i CSS, e la loro influenza sulle metodologie di progettazione (il libro si occupa solo delle tecnologie di fruizione, in particolare di quelle relative al computer).
Vorrei approfondire la seconda. Nielsen vede la differenza tra struttura e navigazione, ma non ne trae tutte le implicazioni. In primo luogo, non classifica i tipi di pagina e non distingue tra informazione e tipo di pagina, salvo poi:
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affermare che le pagine non devono aprirsi in nuove finestre, con l’eccezione dei documenti in pdf, ppt ecc. (pp. 67-70);
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sconsigliare le pagine di benvenuto in particolare quelle realizzate in flash (pp. 111-112);
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prescrivere che gli elementi dell’interfaccia delle pagine si trovino sempre allo stesso posto (p. 178).
In secondo luogo, non distingue, dal punto di vista qualitativo, la navigazione secondo la struttura dalla navigazione pertinenziale. Di conseguenza:
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risolve il problema della rapidità di accesso alle informazioni con un link diretto dalla home page:
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contraddicendosi, poiché afferma anche che è necessario presupporre che il navigatore non giunga alla pagina di suo interessa dalla home page (p. 27);
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disinteressandosi esplicitamente del fatto che dalla home page non è possibile fare un link diretto a tutte le pagine e che l’accesso diretto alle informazioni è garantito dalla navigazione pertinenziale: “Non importa quanto bene sia strutturata un’architettura informativa o con quale chiarezza venga rappresentata dal sistema di navigazione: se gli utenti devono attraversare molti livelli possono sempre perdersi o spazientirsi” (p. 210);
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suggerisce di mettere i link pertinenziali all’interno del testo (dove ritiene che siano più visibili), non considerando che in quel modo non è possibile descrivere chiaramente il contenuto della pagina di destinazione (p. 27 e 35);
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suggerisce di fare le briciole di pane (utili per capire il posizionamento di una pagina ma inutili per la navigazione pertinenziale) (p. 27);
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pone la relazione tra l’interfaccia del sito e il browser dal solo punto di vista tecnologico e solo per suggerire al progettista di non disabilitare il pulsante ‘Indietro’ nel browser del navigatore (pp. 63-67).
Sta dunque ai progettisti distinguere la qualità di quel che Nielsen talvolta un po’ incoerentemente sostiene e contestualizzare nel proprio progetto i suggerimenti eventualmente utili (tra questi non vanno assolutamente annoverati quelli relativi alla scrittura, forse validi per la lingua inglese, ma spesso erronei, quasi sempre superficiali e dunque inapplicabili nella lingua italiana).
L’usabilità del libro
Con il rigore logico Nielsen non ha un rapporto facile, e ne è spia la disseminazione in parti anche molto lontane del libro di informazioni sullo stesso argomento, sicché la linearità con la quale ho tentato di presentare alcuni tra i contenuti del libro non corrisponde alla linearità con la quale lui li ha presentati (si consideri da questo punto di vista il numero delle pagine a cui rinvio). Questo limite rende la lettura più faticosa di quel che potrebbe essere (suggerisco al lettore di tener duro dopo la lettura della Prefazione, nella quale lo smarrimento del filo logico è francamente irritante: ma successivamente le cose migliorano un po’), e non resisto alla battuta: l’usabilità di questo libro potrebbe essere migliore.
L’edizione italiana
L’edizione italiana riprende l’elegante progetto editoriale di Web Usability: quattro colori, che valorizzano i numerosissimi screenshots (che Nielsen purtroppo non si preoccupa di datare); didascalie abbondanti; testo impaginato su poco più della metà dello spazio orizzontale disponibile; note in box laterali.
Vi è però un errore grave: il titolo Web Usability 2.0. L’usabilità che conta non è la traduzione fedele dell’originale Prioritizing web usability. Cosa si intende per Web 2.0? Non so negli USA, ma da noi è un’espressione in voga tra i militanti del web (e sostenuta da Apogeo con numerosi articoli on line) per indicare un insieme di novità che caratterizzerebbero il web di oggi rispetto a quello di tre-quattro anni fa. Tra queste novità, mi pare che le principali siano cinque (tra loro collegate): lo sviluppo del web semantico; la condivisione di risorse per la realizzazione di nuovi applicativi; la possibilità del navigatore di pubblicare contenuti (blog, wikipedia); la separazione del contenuto dalla sua presentazione (css, accessibilità); la fruibilità dei contenuti digitali indipendentemente dal dispositivo usato dal destinatario (pc, palmare ecc.). Bene: Nielsen non si occupa minimamente di alcun argomento riconducibile al web 2.0, anzi, a lui interessano esclusivamente i siti istituzionali (meglio se di aziende che vendono prodotti) fruiti al pc da navigatori normodotati (scarsi i cenni all’accessibilità).
Altri errori riguardano alcune scelte di traduzione. Alcuni sono errori di registro: non vorremmo leggere ‘fare i fighetti’ e espressioni simili. È vero che gli americani amano uno stile spiccio, colloquiale, nella saggistica e nella formazione. Ma è anche vero che da noi questo stile non è appropriato alla discussione seria, anzi connota una complicità un po’ demagogica con il lettore, l’autoreferenzialità, la superficialità. Il traduttore poteva contestualizzare meglio il registro ‘amichevole’ originale. Altri sono errori di traduzione. Tre esempi:
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‘paragraph’ non si traduce ‘paragrafo’ bensì ‘capoverso’ (questo errore è frequentissimo anche in molte altre traduzioni). Provare a rileggere a p. 282 il paragrafo Scrivete paragrafi brevi, composto da due capoversi;
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‘design’ si dovrebbe tradurre con ‘progetto’ non con ‘disegno’;
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l’espressione ‘fraseggio parallelo’ invece di ‘reggenze corrette’ è un neologismo inutile e fuorviante (ma tutto il box Consiglio: l’importanza del fraseggio parallelo a p. 281 è tradotto tanto male che solo chi sa che cosa l’autore voleva dire riesce a ricostruire il senso: cosa significano infatti “le diverse voci di una lista dovrebbero avere uno stile e una fraseologia comune” e “un lessico troppo variato va contro la grammatica della lista”?).
Un’ultima osservazione: la traduzione sostiene, in linea con altre traduzioni, che ‘consistente’ sia sinonimo di ‘coerente’ e di ‘coeso’. Vero è che ‘consistente’ significa ‘coerente’, ‘non contraddittorio’ nel linguaggio della matematica, però:
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la coerenza e la coesione sono due cose diverse (sommariamente: la coesione è la presentazione formalmente corretta della coerenza) e dunque ‘consistente’ non può essere usato per ‘coeso’;
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l’uso contemporaneo e sinonimico di ‘consistente’ e di ‘coerente’ può creare problemi di comprensione;
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l’uso di ‘consistente’ non è sempre chiaro, perché ‘consistente’ ha comunemente un altro significato e perché, con il significato impiegato in questa traduzione, si usano comunemente, a seconda dei casi, ‘coerenza’ o, errando, ‘coesione’. Si noti questo titoletto: Siti internamente inconsistenti (p. 118). Per essere certi che si tratti di problemi di coesione del sito (non di coerenza, in questo caso) e non – che so – di problemi legati alla mancanza o alla vuotaggine di contenuti bisogna leggere il testo seguente al titolo.
Conclusione
Nonostante i limiti dell’edizione italiana,
dell’usabilità del libro e dell’usabilità in se stessa, questo è un
libro da leggere, perché si fonda su dati imponenti, contiene
considerazioni preziose e lascia intenzionalmente ed esplicitamente
molti margini di approfondimento in direzione delle metodologie di
progettazione. Infatti, i progettisti, oltre a dover considerare aspetti
che l'autore non tocca o tocca superficialmente, non ne sanno molto di
più, dopo aver letto il libro, su come realizzare i test di usabilità,
cioè su come utilizzare l’usabilità per migliorare i siti: a queste cose
Nielsen accenna soltanto, forse anche perché ritiene che chi vuole
servirsi del suo metodo debba rivolgersi direttamente a lui.