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Premessa di Progettare e scrivere per Internet

italiano professionale e siti istituzionali

Noi cittadini stiamo partecipando, più o meno consapevolmente e attivamente, a un processo di aggiornamento delle relazioni sociali che, in particolare negli ultimi anni, ha riguardato molto da vicino la qualità della comunicazione scritta. La nostra società – dico proprio quella italiana – sente il bisogno di una lingua efficace per comunicare informazioni utili nella vita produttiva e civile, cioè per lo scambio fra organizzazioni (amministrazione pubblica, aziende, associazioni ecc.), fra le persone all’interno della stessa organizzazione e fra organizzazioni e cittadini (utenti, clienti, soci, ecc.). Di questa lingua, che è l’italiano professionale, manca ancora una nozione precisa. Però è chiaro che l’italiano professionale deve consentire a chi scrive di farsi capire da chi legge senza dover rispondere a richieste successive di spiegazione, e senza fargli perdere tempo. Questo linguaggio, quindi, dovrebbe:

è evidente che le caratteristiche dell’italiano professionale devono essere precisate anche in rapporto al contesto della comunicazione, in particolare in rapporto all’autore (che può essere più o meno specializzato), all’argomento (più o meno tecnico), al destinatario (più o meno competente), al tipo di testo e al canale in cui il testo viene diffuso. Per i testi a stampa (lettera, circolare, progetto, relazione ecc.), esiste una tradizione editoriale che offre, tra l’altro, un’impostazione, a seconda dei casi più o meno standardizzata e graficamente curata, del rapporto tra le parole e gli altri elementi testuali, come l’indice, l’oggetto, le immagini, le modalità di evidenziazione e così via. Ai testi per il web manca una tradizione editoriale, perché il contesto editoriale virtuale, caratterizzato soprattutto dal canale digitale, è molto recente. Il che complica ulteriormente le cose.

Se osserviamo dal punto di vista editoriale l’evoluzione del web negli ultimi anni, possiamo identificare, con buona approssimazione, tre fasi, e una quarta che forse sta per cominciare ora. La prima fase (siti costruiti entro il 1999) è stata caratterizzata dalla progettazione con i frame, cioè dalla composizione di una pagina con elementi pubblicati in indirizzi (URL) diversi. Questa tecnica rispondeva alla necessità di sveltire lo scaricamento delle pagine in un’epoca nella quale le connessioni erano mediamente molto lente (i modem a 14.440 Baud erano ancora parecchi), ma poneva problemi di navigazione (reperibilità delle informazioni e orientamento). La seconda fase (siti costruiti dal 1999 al 2002) è stata caratterizzata dalla creatività grafica, in qualche caso motivata dalla ricerca di un’interattività immersiva, ma più spesso legata alle competenze di desktop publishing dei progettisti o alla voga delle animazioni (fatte soprattutto in Flash). I siti divennero costosissimi per i committenti e difficilmente navigabili per i navigatori. Con la crisi della new economy (dal 2001), si è aperta la terza fase, caratterizzata dall’attenzione alle esigenze di navigazione e di fruizione dei contenuti. In questa fase i siti sono divenuti più razionali, più adeguati al rapporto che, per usare la terminologia della scienza della comunicazione, il canale (web) stabilisce fra l’autore e il destinatario (non per nulla Jakob Nielsen, uno dei principali progettisti e teorici di questa fase, si è autodefinito user advocate). Si sta ora, forse, aprendo una nuova fase, che mi pare caratterizzata da un incontro più ravvicinato fra i progettisti e i programmatori, tra le esigenze di comunicazione e gli strumenti software che le possono realizzare (lo sviluppo dei fogli di stile e il loro impiego sempre più diffuso mi pare emblematico, così come la costruzione su misura delle singole organizzazioni di sistemi di pubblicazione automatica). Il quadro che emerge da questa sia pure approssimativa schematizzazione mostra che l’editoria web è soggetta a una ricerca continua di assetti più soddisfacenti. Dunque, il discorso è aperto, anzi è verosimilmente destinato a rimanere sempre aperto, essendo l’assetto editoriale strettamente legato all’evoluzione delle tecnologie (a questo proposito, può essere interessante riflettere su quanto più lenti e graduali siano stati gli sviluppi tecnologici dell’editoria a stampa). In definitiva, i problemi di cui ci dobbiamo occupare sono due, e sono intrecciati:

  1. identificare l’italiano professionale adatto a un contesto editoriale che, a sua volta;

  2. deve essere definito.

Proporre un possibile equilibrio coerente tra la progettazione di un sito istituzionale e la redazione dei testi è dunque lo scopo principale di questo libro.

Organizzazione del libro

Il libro è suddiviso in tre parti. Nella prima, dopo un accenno introduttivo ad alcune caratteristiche editoriali di un sito (capitolo 1), si trova un’indagine sulle prestazioni dei siti e sul comportamento dei navigatori (capitolo 2). Il quadro non è incoraggiante: i navigatori mostrano in modo costante uno scarso apprezzamento dei siti, in particolare delle modalità di pubblicazione dei contenuti. Tuttavia, poiché a questo atteggiamento non corrisponde il disamore per la navigazione, possiamo considerarci autorizzati a pensare che i navigatori non abbiano ancora perduto la speranza di un web migliore e più utile.

La seconda parte è dedicata alla progettazione di un sito istituzionale, in particolare all’elaborazione di un modello che consente al navigatore di reperire con un solo clic qualsiasi informazione del sito da qualsiasi punto del sito. Per la realizzazione del modello, l’idea principale è che la struttura del sito (capitolo 3), cioè la disposizione delle informazioni secondo un certo criterio, e la logica della navigazione (capitolo 4) sono due cose diverse che non devono coincidere. Quando coincidono – e coincidono nella maggioranza dei siti – la navigazione è faticosa dal punto di vista cognitivo, incerta dal punto di vista dei risultati e superficiale dal punto di vista dell’interazione.

L’interattività è un concetto che deve essere approfondito, e direi anzi recuperato. Parola magica del web fino al termine degli anni Novanta, è poi passata di moda o si è fossilizzata, ma senza aver mantenuto la promessa di rendere la comunicazione mediata da macchine uno scambio tra persone. Credo proprio che si debba ripartire da qui. D’altra parte, le tecnologie consentono ora una gestione ‘intelligente’ dei dati, come mostra il contributo di Cosimo Carbonelli, un programmatore ‘umanista’ al quale ho chiesto di descrivere, nel paragrafo 4.6 La strutturazione dell’informazione, gli aspetti tecnici di un’interattività non banale. Altri aspetti tecnici (i fogli di stile, la compilazione dei tag, l’accessibilità ecc.) ed editoriali (il formato dei link, la gestione del feedback ecc.) sono argomento del capitolo 5.

La terza parte è dedicata alla scrittura professionale per il web. Il capitolo 6 presenta una metodologia per la progettazione di un testo professionale; il capitolo 7 descrive le strategie di gerarchizzazione delle informazioni in una pagina web; il capitolo 8 esamina alcuni aspetti linguistici della scrittura professionale. In particolare, quelli che mi sono parsi rispondere a problemi linguistici diffusi fra gli autori web. In mancanza di corpora e di trattazioni esaurienti, ho verificato la diffusione dei problemi argomento per argomento, con una navigazione insistita ma non sistematica, poiché questo libro non nasce da un progetto di ricerca scientifica (che sarebbe necessario anche solo per compilare un elenco rappresentativo se non completo di siti, e per classificarli), e ha, piuttosto, un intento formativo.

L’intento formativo

all’intento formativo sono funzionali due scelte che desidero esplicitare.

In primo luogo, devo chiarire che i testi e le immagini servono a illustrare aspetti e problemi di progettazione e di scrittura, non i siti da cui li ho presi. Mi sono sforzato, infatti, di collegare la validità degli esempi all’entità di una questione, non all’aggiornamento in se stesso dell’esempio che, anzi, in qualche caso potrebbe anche non trovarsi più on line , perché i siti, nel frattempo, possono essere cambiati o, fra un po’ di tempo, cambieranno, come è nella natura stessa del web. Testi e immagini, poi, provengono da siti di organizzazioni con le quali non ho avuto contatti professionali, cioè da progetti editoriali nei quali non ho avuto alcuna parte. Con due eccezioni, la più rilevante delle quali riguarda la visualizzazione della struttura di una vecchia versione non più on line del sito di Medici Senza Frontiere, che ho progettato con Tommaso Raso . Di minore importanza, la citazione di una soluzione del formato dei link che ho escogitato con Lorenzo Spallino in un nostro comune progetto web . Nel libro, mi sono riferito a questi due lavori piuttosto a malincuore, e solo perché non sono riuscito a trovare esempi altrui che si prestassero allo stesso scopo nello stesso modo. Credo, infatti, che per dare un taglio formativo credibile all’argomento del libro, che è all’incrocio di discipline anche molto diverse tra loro (come possono essere le scienze cognitive, la linguistica, la programmazione software ecc.) e in via di definizione per la sua stessa novità, sia meglio resistere alla tentazione di fare della propria esperienza un modello.

In secondo luogo, ho cercato di evitare l’autoreferenzialità del linguaggio. Innanzitutto, ho privilegiato i termini italiani quando esistono e hanno corso di validità, al massimo usandoli in alternativa con il termine inglese (è il caso di ‘motto’ e ‘tagline’). Inoltre, ho evitato tutte le volte che era possibile i linguaggi disciplinari, soprattutto quelli della linguistica e delle tecnologie dell’informazione. Infine, ho escluso alcuni termini così diffusi nella saggistica sull’argomento (come usabilità, architettura/architetto dell’informazione, 5W e via dicendo) da essere (già divenuti) luoghi comuni. Se su questi argomenti serve ragionare, è bene farlo tutti senza dare per scontato ciò che scontato non è. Siamo all’inizio.Inizio articolo

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