webimpossibile

Il diritto all'utilizzo delle nuove tecnologie nel Codice dell'amministrazione digitale

Una versione poco più che rielaborata di questo articolo è stata pubblicata sul n. 1/2008 della Rivista amministrativa della Regione Lombardia, supplemento al fascicolo 11-12/2008 della Rivista amministrativa della Repubblica italiana.

Abstract

Il Codice dell'amministrazione digitale proclama a chiare lettere il diritto dei cittadini e delle imprese di rapportarsi con le pubbliche amministrazioni utilizzando le nuove tecnologie. Un'analisi appena più che superficiale del disposto legislativo rivela che le aspettative generate dal Codice sono mal poste: di tutto si tratta, infatti, fuorché di un diritto.

L'utilizzo delle nuove tecnologie nel Codice dell'amministrazione digitale

Salutato da alcuni come un elemento di rottura con il passato (L. Stanca), da altri come insieme di utopie e promesse prive di concretezza (F. Bassanini), il Codice dell'amministrazione digitale enunciava nell'articolo 3 il principio secondo cui

I cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni centrali e con i gestori di pubblici servizi statali nei limiti di quanto previsto nel presente codice.

Nonostante la norma fosse intitolata ^Diritto all'uso delle tecnologie^ e contenuta nella sezione seconda del Codice, dedicata ai ^Diritti dei cittadini e delle imprese^ - i primi commentatori manifestarono più di un dubbio circa la concreta possibilità di tutelare efficacemente quello che, ad avviso di molti, andava al più letto come il tentativo di stabilire una serie di principi senza tuttavia indicare la strada per attuarli.

Lo stesso Consiglio di Stato, pur dichiarando di condividere molte delle finalità enunciate nel Codice, non poté trattenersi - in sede di parere al disegno di legge - dall'evidenziare come proprio gli articoli da 3 a 13 destassero "qualche perplessità": vuoi perché affermavano diritti non azionabili (articolo 3), vuoi perché si limitavano a dichiarazioni di intenti prive di precettività (articolo 8, diritto alla partecipazione), vuoi perché sembravano comportare l'esigenza di copertura finanziaria per poter trovare effettiva attuazione (articoli 5, 6 e 7: diritto ad effettuare qualsiasi pagamento in forma digitale, diritto a ricevere qualsiasi comunicazione pubblica per e-mail, diritto alla qualità del servizio e alla misura della soddisfazione) oppure perché, come l'articolo 5, "stante la loro natura ordinatoria" nulla aggiungevano alla disposizione di riferimento.

La riforma dell'articolo 3 del Codice

Il legislatore ha messo mano al Codice dell'Amministrazione digitale nell'aprile del 2006, modificandone ventinove articoli, inserendo nuove sette disposizioni ed implementando nel capo ottavo le norme in materia di Sistema pubblico di connettività e rete internazionale della pubblica amministrazione, già oggetto del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 42, oggi abrogato.

Interessato anch'egli dalla novella, l'articolo 3 oggi recita:

1. I cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni centrali e con i gestori di pubblici servizi statali nei limiti di quanto previsto nel presente codice.
1-bis. Il principio di cui al comma 1 si applica alle amministrazioni regionali e locali nei limiti delle risorse tecnologiche ed organizzative disponibili e nel rispetto della loro autonomia normativa.
1-ter. Le controversie concernenti l’esercizio del diritto di cui al comma 1 sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

L'importanza della riformulazione del primo comma e l'inserimento del comma 1-ter appaiono subito di grande importanza: da un lato si elimina il riferimento alle pubbliche amministrazioni ^centrali^, così che che tutte diventano soggette alla disposizione, dall'altro si  individua il giudice di riferimento del diritto in questione, declinando così in termini concreti l'azionabilità del diritto in risposta ai rilievi dei primi commentatori.

Ancora una volta, tuttavia, i risultati concreti di questi sforzo sono assai dubbi, quantomeno per due ordini di profili.

In primo luogo perché i ^diritti^ sanciti dal legislatore sono apparsi confinati "ad uno stadio ben distante dalla effettiva capacità di incidere sui procedimenti amministrativi e dal disegnare una posizione soggettiva degna del termine utilizzato" (S. Cacace), in particolar modo nella misura in cui, non essendo previsto uno speciale e generalizzato rito semplificato - sulla falsariga di quello disegnato dall’art. 21-bis della legge n. 1034/1971 per censurare il silenzio-inadempimento dell’Amministrazione - sono comunque necessari i tempi ordinari della giustizia amministrativa per giungere ad una sentenza di merito.

In secondo luogo perché se, da un lato, il nuovo comma 1 dell'articolo 3 estende il diritto in questione verso tutte le pubbliche amministrazioni, nessuna esclusa, dall'altro il nuovo comma 1-bis lo confina "nei limiti delle risorse tecnologiche ed organizzative disponibili e nel rispetto della loro autonomia normativa".

Il nuovo comma 1-bis

La norma, inserita su espressa richiesta della Conferenza unificata delle Regioni in ragione delle «diversificate dimensioni e disponibilità finanziarie degli enti stessi», va anzitutto letta nel senso che l'espressione ^cittadini^ non esclude gli stranieri, analogamente a quanto pacificamente avviene in sede di interpretazione dell'articolo 3 della Costituzione che utilizza la medesima espressione ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge").

Da essa derivano diversi elementi di riflessione: 

Analoghe considerazioni erano state mosse dal Consiglio di Stato, il quale, discostandosi dalla Conferenza unificata delle Regioni, in sede di  parere allo schema di modifiche aveva evidenziato come, pur giustificandosi l’ampliamento soggettivo contenuto negli articoli 3 (Diritto all'uso delle tecnologie) e 54 (Contenuto dei siti delle pubbliche amministrazioni):

I profili discriminatori tra cittadini

La formulazione utilizzata dal comma 1-bis paventa una innegabile disparità di trattamento tra chi, ad esempio, debba rapportarsi - per ragioni indipendenti dalla sua volontà come nascita o residenza - con un ente locale scarsamente dotato quanto a risorse tecnologiche ed organizzative e chi, invece, si possa rivolgere verso realtà più dotate e strutturate. E ancora, se per comuni di piccole dimensioni possono esistere obiettive difficoltà organizzative e finanziarie, che dire di regioni come, ad esempio, il Veneto e la Lombardia, i cui bilanci di previsione 2008 prevedono entrate tra i 27 e i 28 miliardi di euro ciascuno? Quale significato dare poi all'espressione "nel rispetto della loro autonomia normativa"? Esiste cioè, come la norma sembra affermare, la possibilità che alcune amministrazioni locali possano legittimamente prevedere di confinare i rapporti con il cittadino alla modulistica cartacea, escludendo il ricorso alle nuove tecnologie?

Si tratta di interrogativi più che legittimi, aggravati dal fatto che le scelte degli enti locali in tema di ricorso alla tecnologia, di organizzazione interna e di autonomia normativa non sono sindacabili né dal cittadino né dalla magistratura amministrativa, appartenendo alla sfera di discrezionalità della pubblica amministrazione.

E se la disparità di trattamento è ingiustificata, essa si traduce in un rilievo di illegittimità della norma per violazione dell'articolo 3 della Costituzione? La risposta è che la disparità è evidente e ingiustificata, ma non sussiste alcun profilo di illegittimità costituzionale della disposizione.

Il ^diritto^ all'utilizzo delle nuove tecnologie come interesse legittimo

A differenza di altri, il nostro ordinamento distingue tra due posizioni soggettive giuridicamente rilevanti: il diritto soggettivo e l'interesse legittimo. Al primo l'ordinamento riconosce una tutela piena, ossia la facoltà di agire in ordine a quell'interesse, al fine di poter conseguire il bene che soddisfa il bisogno. Nel secondo, la situazione soggettiva è riconosciuta e tutelata solo in quanto connessa ad una norma che garantisce in via primaria l'interesse generale, così che solo quest'ultimo risulti violato la posizione potrà ricevere ristoro. L'interesse legittimo è, quindi, nella sostanza, un interesse al corretto esercizio del potere della p. a. (A. Pacifico, 2000), esercitabile nei limiti in cui sussista un interesse concreto ed attuale che l'azione possa efficacemente tutelare.

 Lo spettro della censura di possibile violazione del principio costituzionale di eguaglianza era - ed è - noto allo stesso legislatore, che nella Relazione al decreto correttivo si è premurato di precisare che la disposizione non configura alcun problema di differenziazione tra cittadini a seconda della collocazione geografica in regioni più o meno ^ricche^ o ^tecnologicamente dotate^, poiché:

a fronte dell’azione della pubblica amministrazione come “autorità”, non si possono ordinariamente scorgere diritti soggettivi in senso proprio, ma solo interessi legittimi (che sono comunque chiaramente tutelati dall’ordinamento anche sotto il profilo dell’eventuale risarcimento del danno), anche considerando che la situazione soggettiva non può essere tutelata nella sua pienezza allorché non vi siano le necessarie risorse tecnologiche, come pure sarebbe costituzionalmente illegittima una differenziazione della posizione giuridica soggettiva in relazione all’amministrazione con cui il cittadino o l’impresa si rapporti.

In altre parole: non essendo in presenza di un diritto soggettivo ma di un interesse legittimo non è data alcuna violazione dell'articolo 3 della Costituzione.

Per quanto contraddittoria possa sembrare la posizione del legislatore, che da un lato afferma la presenza di diritti e dall'altro precisa che di diritti non si tratta, non è corretto denunciare che questi avrebbe, con il comma 1-bis, degradato il diritto del primo comma a principio (e quindi a interesse legittimo) allo scopo di sottrarre la norma alle censure di illegittimità costituzionale per violazione del principio di eguaglianza.

Nella novella del 2006 il legislatore non ha, infatti, operato alcuna degradazione del diritto all'uso delle tecnologie. Più semplicemente egli si è limitato a precisarne la portata, correttamente collocando la situazione soggettiva tutelata tra gli interessi legittimi, ossia tra le situazioni giuridiche minori. Neppure, a contrario, potrebbe essere invocata la circostanza che il legislatore abbia individuato un giudice di riferimento: in primo luogo perché il T.A.R. è infatti, per definizione, il giudice degli interessi legittimi e in secondo luogo perché - come nel caso del ^diritto di accesso^ di cui all'articolo 22 della legge n. 241 del 1990 - il legislatore ben conosce figure che non per il fatto di godere di specifica tutela giurisdizionale necessariamente presuppongono una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 4 giugno 2008, n. 5479).

Conclusioni

Il diritto del cittadino a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni vale per quello che è: un interesse legittimo e non un diritto, che per poter essere azionato richiede non soltanto un interesse concreto ed attuale che l'azione possa efficacemente tutelare, ma anche le condizioni oggettive in capo alle amministrazioni locali descritte dal comma 1-bis.

Se così è, con la nuova versione dell'articolo 3 del Codice è stato certamente fatto un passo in avanti nei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione: ma non abbastanza lungo. Inizio articolo

Back home

Webimpossibile 2004/2016

Webimpossibile

Webimpossibile [http://www.webimpossibile.net/]è un progetto di Giovanni Acerboni e Lorenzo Spallino. Nato nel maggio 2004 per ragionare pubblicamente sullo stato del web, contiene riflessioni e spunti su internet, cultura e diritto. Aggiornamenti del sito vengono segnalati attraverso una newsletter a pubblicazione non periodica. Condizioni di utilizzo alla pagina http://www.webimpossibile.net/cpright.htm.

Proprietà intellettuale

I dati, le informazioni, le notizie e, in generale, i contenuti, anche grafici, contenuti in questo sito o comunque fruiti nell'ambito dell'utilizzo dello stesso, sono oggetto di proprietà intellettuale e come tali tutelati.

Testi

I contenuti di questo sito possono, ovviamente, essere citati, linkati e trascritti. Analogamente a quel che avviene nell’editoria a stampa, la citazione è tanto più corretta quanto più completa: nome e cognome dell’autore, titolo del contenuto, data di pubblicazione su Webimpossibile, link diretto al contenuto e link alla home page di Webimpossibile. Le trascrizioni - qualora fedeli all'originale - debbono essere virgolettate. Trascrizioni integrali debbono essere precedute dall'assenso dell'autore.